Le tre vite di Joaquin Phoenix
Commovente, sincero, folle, spietato, spiazzante, confuso, ipocrita, consapevole, militante, appassionato, ingenuo, inappropriato, maturo, riconoscente, politico, emozionante, umano: questi sono solo alcuni degli aggettivi di segno diverso che hanno accompagnato la diffusione del discorso di ringraziamento di Joaquin Phoenix per la vittoria dell’Oscar come miglior attore protagonista nel 2020. Un discorso, in breve tempo diventato virale, in cui sono state messe in rilievo tematiche importanti come i diritti degli animali, specismo, ambientalismo, diseguaglianze sociali e diritti civili; questioni collettive che l’attore ha incrociato con la sua vita artistica, riflettendo sull’impatto che hanno avuto le scelte incaute, arroganti ed egoiste della sua storia personale sull’esistenza degli altri. Un insieme di considerazioni che gli ha causato critiche da parte dei media e facili ironie sui social network, ma che riflette la diversità di un attore sfuggente, difficile da ingabbiare in una categoria, e che pertanto vuole, sempre e comunque, restare libero. E che per questo oggi è grato verso chi ha deciso di emendare le sue colpe, a patto di confessarle pubblicamente, dandogli la possibilità di esprimere il suo pensiero su uno dei palcoscenici più osservati e blasonati del mondo. In fin dei conti, Hollywood con questo premio ha deciso di sancire la sua maturità artistica, concedendogli quella che lui stesso definisce una seconda possibilità: perché fin dal cognome che porta, la storia di Phoenix è un percorso di fine e rinascita, amore e redenzione, secondi tempi e vite multiple.
Per Phoenix reinventarsi sembra essere una necessità vitale, indispensabile per la sopravvivenza personale e artistica. Fin dagli esordi come baby star, spinto dai desideri e i bisogni di una famiglia atipica come solo l’America hippie sapeva essere, la sua irrequietezza è talmente pulsante da spingerlo ad abbandonare la recitazione ancora giovanissimo. Solo un fuoco di paglia, ma comunque un segnale emblematico se letto alla luce degli inaspettati eventi successivi che scandiranno la sua vita.
Quello di Joaquin Phoenix è un viaggio coerente, caratterizzato dall’attrazione verso ruoli che raffigurano un’umanità dolente, ma che vive di scelte inaspettate
Raccontare il curriculum di Joaquin Phoenix vuol dire prendere in esame un tragitto che ha origine molto presto e che si evolve senza mai disconoscere la natura autodidatta dei suoi apprendimenti; un viaggio coerente, caratterizzato dall’attrazione verso ruoli che raffigurano un’umanità dolente, ma che vive di scelte inaspettate, talvolta sorprendenti, che lo privano di compattezza a favore di un dinamismo nervoso.
Phoenix procede per strappi, cercando di sottrarsi alla noia che lo attanaglia ogniqualvolta si adagia troppo su situazioni prevedibili, scelte canoniche, piani predeterminati; del resto, se la sua carriera è platealmente divisa in due parti, con la performance di I’m Still Here (2010) a fungere da spartiacque, non stupisce che Phoenix abbia in qualche modo vissuto più di una vita. Tre, per la precisione.

Joaquin Phoenix in I’m Still Here (2010) di Casey Affleck
Com’è ovvio, la prima vita conosce la sua fine con Joaquin neanche ventenne, spettatore della morte del fratello : la linea d’ombra che lo conduce alla perdita dell’innocenza e a un convinto ritiro dalla recitazione, dopo il lasco addio dato in gioventù. La seconda vita, nel segno del tradizionale iter professionale hollywoodiano, termina proprio con la messa in discussione di quella visione del mestiere d’attore, la successiva crisi personale e l’idea di sparigliare le carte in tavola con un nuovo abbandono della recitazione, stavolta fittizio. La terza vita trae origine dal caos creativo di I’m Still Here e regala a Phoenix un’identità definita, tanto da spingerlo ad approcciare di nuovo il cinema mainstream Seguendo un peculiare intreccio di vita privata e carriera, quest’esistenza tripartita viene qui raccontata bilanciando l’analisi critica e il racconto biografico, lasciando la parola più possibile direttamente all’interessato e a coloro (registi, direttori della fotografia, montatori, ecc.) che l’hanno affiancato sul set. Attraverso una congrua ricognizione di sue interviste, si è cercato di dare organicità al pensiero dell’attore e nel contempo rendere agile la lettura di questo studio, che cerca di rivolgersi a una platea ampia, capace di abbracciare appassionati di cinema, fan dell’attore e addetti ai lavori.
L’intento del testo – I Walk the Line | Joaquin Phoenix – La cicatrice interiore, di cui il presente estratto è parte della prefazione, ndr; prima monografia italiana a lui dedicata – è dunque quello di approfondire la figura di Phoenix ricostruendo la sua carriera, comprendente circa trentatré titoli, seguendo le cadute e resurrezioni di una vita imprevedibile così come il suo stile recitativo.

Joaquin Phoenix durante l’iconica sequenza del ballo sulle scale di Gotham in Joker (2019) di Todd Phillips
Ma cosa rende Joaquin Phoenix davvero singolare e fuori dal comune? Forse la miscela del tutto personale che caratterizza il suo metodo recitativo, una strana combinazione di emotività e logica, istinto e tecnica. Forse il cammino spiazzante della sua carriera, che lo vede attento a non arroccarsi mai su una posizione e percorrere sempre strade poco battute, ondeggiando tra cinema mainstream e autorialità. Forse la conseguente scarsa capacità di atteggiarsi come star, che preferisce costruire su di sé una mitologia da antidivo riluttante, sfruttando però la celebrità per portare avanti le sue campagne da fiero attivista sociale. Probabilmente tutto questo. tornando da vincitore, come dimostra l’Oscar ottenuto con Joker (2019) che emblematicamente chiude un cerchio (☛ Kill the Rich | Joker vs Parasite). In altre parole, la straordinaria capacità di conciliare gli opposti che caratterizza il percorso di un attore fuori dai canoni. Brandelli che riflettono singoli aspetti della sua personalità, non la totalità : frammenti che ricompongono il ritratto di un artista che si reinventa in continuazione, seguendo un mutare ricorsivo e incessante, pur restando sempre riconoscibile.
Sarà per questa ragione che registi come James Gray, M. Night Shyamalan, Gus Van Sant e Paul Thomas Anderson negli anni hanno deciso di eleggerlo ad attore feticcio, scegliendo di lavorare con lui «almeno due volte, spesso in ruoli antitetici, per poterne esplorare la sconcertante gamma e la possibilità di esprimere, nella medesima inquadratura, crudeltà e fragilità estreme», come scrive Ilaria Feole.
Phoenix è al tempo stesso una cosa e il suo contrario: dentro e fuori l’industria hollywoodiana, calato nel personaggio ma anche «accanto al personaggio
Perché Phoenix è al tempo stesso una cosa e il suo contrario: still here e altrove, dentro e fuori l’industria hollywoodiana, calato nel personaggio ma anche «accanto al personaggio», non riesce mai a trovarsi pienamente a suo agio in una posizione definita e immutabile, così cerca di trovare una conciliazione camminando sulla linea di demarcazione che separa due emisferi.

Leaf Phoenix (nome d’arte che Joaquin adottò in giovane età) in Parenti, amici e tanti guai (1989) di Ron Howard
Secondo alcuni è il miglior attore statunitense della sua generazione, un titolo condiviso con nomi quali Leonardo DiCaprio e Christian Bale, sul cui talento ha ironizzato bonariamente nel discorso di ringraziamento per il premio vinto come miglior attore ai SAG Awards 2020 : tutti e tre interpreti con un passato da «attori bambini», legati a Hollywood da un rapporto di diseguale affezione e pertanto divisi da tappe e scelte molto diverse tra loro, accomunati tuttavia dal desiderio di non rimanere ingabbiati in un’immagine. A differenza dei suoi colleghi, però non ha alcun timore di sbagliare miseramente azzardando scelte assurde, anzi, l’ombra del fallimento è il carburante della sua vita artistica. E il suo percorso va valutato proprio alla luce della posizione obliqua che sceglie di avere nel sistema cinematografico americano, mettendo in discussione la sua figura e le sue capacità, tra cambi di direzione e la ricerca di un cinema meno convenzionale.
Il presente testo è tratto dalla prefazione al saggio di Rosario Sparti I Walk the Line | Joaquin Phoenix – La cicatrice interiore pubblicato per gentile concessione di Bakemono Lab e acquistabile qui ► I Walk the Line
