A nuoto dentro gli schermi
Quattro titoli del cinema e della serialità contemporanea per affrontare il caldo estivo in modo originale e alternativo
La redazione di Duemilauno vi augura buone vacanze con una selezione di film e serie da vedere tra un bagno e l’altro. Un film italiano, due serie americane e un film francese per scoprire alcuni degli sguardi più originali dell’audiovisivo contemporaneo!
Coma di Bertrand Bonello
Nella vulgata, l’estate è il periodo per staccare il cervello e rilassarci, meditare con il rumore bianco delle onde o la tranquillità della natura; eppure, il maggior tempo a disposizione e la tendenza alla calma potrebbero favorire il bisogno a un pensiero più aperto, meno allineato.
Coma potrebbe essere il film giusto: il regista Bertrand Bonello è uno dei più intelligenti e coraggiosi del cinema europeo di oggi e in 80 minuti realizza il più bel film su come la pandemia ha cambiato il nostro modo di intendere il guardare e il fare immagini oggi.
Coma è un film-palinsesto che ragiona sul modo in cui percepiamo il tempo, con cui costruiamo le nostre giornate in virtù di ciò che vediamo
Lo dedica alla figlia, impersonata da Louise Labeque, chiusa dentro la sua stanza per un confinamento sanitario; dentro quelle mura, la ragazza cerca di passare il tempo guardando i video di una youtuber, Patricia Coma, i cui contenuti producono una sorta di stato ipnotico che renderà la realtà della ragazza molto instabile.
Un film-palinsesto che ragiona sul modo in cui percepiamo il tempo, con cui costruiamo le nostre giornate in virtù di ciò che vediamo, che scompone l’unitarietà del nostro flusso percettivo in un teoria di format e formati, modelli, grane, pixel che entrano dentro i nuovi modi di pensare e immaginare le immagini. Da Landis ai Monty Python passando per David Lynch: accendere il cervello mentre il corpo si rilassa, come in stato di meditazione alterato.
Emanuele Rauco
Yellowjackets di Ashley Lyle e Bart Nickerson
Se l’uomo è un animale sociale, cosa ne resta quando viene allontanato dalla società civile e precipitato improvvisamente in un primordiale e ostile stato di natura? L’istinto di sopravvivenza potrebbe repentinamente risvegliare un’inattesa ferocia ancestrale e lo spirito bestiale potrebbe prendere il sopravvento, magari trasformando un’allegra squadra di calcio femminile in un branco di belve sanguinarie.
Yellowjackets, serie di Showtime articolata finora in due stagioni, è ispirata a un reale fatto di cronaca avvenuto nell’Ontario nel 1996, che ha coinvolto un gruppo di studentesse. Il racconto si snoda su due linee temporali, che si alternano di continuo, tra passato e presente. Cosa è accaduto ai sopravvissuti di un disastro aereo durante i diciannove mesi di forzata solitudine tra i boschi innevati di una lontana regione montana? Episodio dopo episodio lo spettatore viene accompagnato al disvelamento di tutti i personaggi della vicenda, tre uomini e la squadra, quasi al completo, delle Yellowjackets.
Il lato ferino dei dispersi lentamente emerge, forgiando lo spirito, la mente, ma anche il corpo, in un processo di rapido e forzato adattamento a un ambiente selvaggio, barbaro e feroce. Anche nel presente, le ragazze, ormai donne, con famiglia e carriere ben avviate, non dimenticano la loro essenza bestiale, che hanno imparato a conoscere e temere.
Mariangela Sansone
I’m a Virgo di Boots Riley
C’è una linea rossa che passa da Spike Lee a Jordan Peele, cineasti diversissimi e artisti poliedrici, una linea rossa che si prolunga, segue traiettorie incognite ed arriva a Boots Riley, un regista, un intellettuale, un musicista, un attivista politico di creatività esorbitante – la cultura afroamericana, il marxismo, le Black Panther ma anche Ken Loach, Terry Gilliam, Brian Yuzna, i fumetti dei supereroi. Riley si era già fatto notare con Sorry To Bother You, film/parabola sulla questione razziale e la lotta di classe, con I’m a Virgo («sono del segno della vergine») produce, scrive e dirige una serie tv sovversiva, a cominciare dalla durata diseguale degli episodi e dal loro dal registro letteralmente inclassificabile. Un tripudio di generi, un universo visionario da restare a bocca spalancata.
È la storia di Cootie, un ragazzo afroamericano alto quattro metri che cresce racchiuso e protetto dalla sua famiglia fino alla tarda adolescenza, quando, per curiosità umana e per ormone, varca la sua comfort zone e fa il suo ingresso negli Stati Uniti di oggi. Intreccia allora relazioni umane, sessuali, sociali, affronta situazioni lavorative, che lo portano a confrontarsi con la propria alienità in un mondo che vive di alienazione, sulla sanità privata, sulle disuguaglianze di classe, ancorché di genere. Il ragazzone si troverà quasi suo malgrado a lottare contro le ingiustizie, scontrandosi contro un villain bianco, disegnatore di fumetti e supertecnologico che ha come unico scopo la conservazione del decoro e dello status quo.
I’m a Virgo è un apologo sovversivo, è cinema politico segnatamente comunista in cui i personaggi rivendicano la militanza, la propaganda e la lotta politica supportati da spezzoni animati che spiegano i paradossi e le storture del capitalismo con cui Riley afferma che la violenza è il meccanismo regolatore della proprietà privata e, di conseguenza, dell’intera società americana.
Massimiliano Martiradonna
Denti da squalo di Davide Gentile
L’estate è una stagione di stasi e di silenzi, di noia e di vuoti incolmabili. Vuoti incolmabili come quello di Walter, tredicenne romano in lutto per la morte tragica del padre, che in sella alla sua bicicletta, tra la terra e il frinire delle cicale, scopre una villa abbandonata con una piscina abitata da uno squalo, di cui Walter comincia a prendersi cura.
Denti da squalo è l’esordio di Davide Gentile, regista cresciuto nel mondo pubblicitario fuori dall’Italia, e uno dei prodotti del realismo fantastico italiano che ruota attorno a Goon Films e alla figura di Gabriele Mainetti. Un esordio che resta in linea con il cinema delle periferie italiane – stavolta indistinte, anche se linguisticamente romane – e che innesta il fantastico spielberghiano (e il rapporto con il mostro ☛ Mare Monstrum) nel contesto narrativo e visuale del cinema d’autore.
Denti da squalo è uno dei prodotti del realismo fantastico italiano, che innesta il fantastico spielberghiano nel contesto narrativo e visuale del cinema d’autore
Lo fa prendendosi qualche rischio, e con qualche difficoltà, ma lo fa anche con delicatezza, mescolando la periferia criminale del boss di Edoardo Pesce a quella del riscatto (il padre di Walter, Claudio Santamaria), raccontando la crescita e l’elaborazione del lutto di un adolescente attraverso l’esperienza, l’immaginazione e la capacità di vedere oltre il cinismo della realtà.
Perché la scia minacciosa della pinna di un pescecane può essere un campanello d’allarme, un presagio di morte, ma può essere anche una via da seguire, sembra dire Denti da squalo, un percorso da leggere sulla superficie instabile delle acque dell’infanzia e dell’adolescenza, verso una direzione che porta alla maturità.
Andrea Caciagli