Silvio Berlusconi non è scomparso
L’immagine del Cavaliere tra cinema e televisione e come la morte della figura che ha segnato la Seconda Repubblica non mette fine al suo immaginario
La morte di Silvio Berlusconi, deceduto il 12 giugno 2023 a 86 anni, ha segnato la fine del personaggio politico più celebre e più complesso della storia della Seconda Repubblica. Sceso in campo sugli schermi televisivi di milioni di italiani nel 1994 e accolto come un salvatore, in conflitto per dieci anni con le coalizioni di sinistra, dato per politicamente morto e poi più volte risorto, interdetto ai pubblici uffici dopo la condanna nel 2013 per frode fiscale e poi di nuovo europarlamentare nel 2019. Silvio Berlusconi, dal 1994 al 2023, ha dominato gli schermi grandi e piccoli del paese, ma morire non è scomparire. La sua figura continua a popolare l’Italia in questi giorni di (bizzarro) lutto nazionale, in cui il volto del Cavaliere campeggia sulle facciate dei palazzi tra pianti commossi e bandiere a mezz’asta.
Quando si parla dell’immagine dell’Italia degli ultimi trent’anni, non si può non pensare alle immagini di Silvio Berlusconi (☛ I mille volti di Silvio Berlusconi). Non soltanto quelle cui ha contribuito a dare forma, plasmando il profilo sociale di un paese attraverso le televisioni, ma le immagini di sé riprodotte e rielaborate dall’universo che l’ha reso l’uomo che era: l’audiovisivo, che per primo ne aveva fantasticato la scomparsa con Shooting Silvio (2006) e Ho ammazzato Berlusconi (2008), due film grotteschi usciti a pochi anni di distanza che lavoravano d’immaginazione per liberarsi di una figura politica che sembrava impossibile far scomparire dalle scene.
Un’immagine commemorativa di Silvio Berlusconi sul palazzo della Regione Liguria a Genova
In Shooting Silvio di Berardo Carboni il protagonista Kurtz, dopo il flop del suo ultimo romanzo, chiede aiuto ad alcuni amici per dare vita al suo nuovo libro Shooting Silvio, dove ognuno di loro dovrà immaginare un modo originale per eliminare Silvio Berlusconi. Questo suo progetto bizzarro lo rende però sempre più isolato e solo, portandolo a convincersi che il solo modo per uscire dalla sua drammatica situazione sia rapire e uccidere realmente il premier.
In Ho ammazzato Berlusconi Matteo investe un uomo e finisce per ucciderlo per errore. Seppellito il corpo il giardino, controlla i documenti e scopre che si tratta di Silvio Berlusconi
In Ho ammazzato Berlusconi di Gianluca Rossi e Daniele Giometto, tratto dal romanzo L’omicidio Berlusconi (2003) di Andrea Salieri, il premier invece è già morto. Il decesso del leader dell’allora Forza Italia avviene nel 2001, poco dopo le elezioni politiche in cui Livia scopre che il marito Matteo ha votato per Berlusconi e lo lascia. La stessa notte Matteo, sconvolto dalla situazione, investe un uomo e finisce per ucciderlo per errore. Seppellito il corpo il giardino, controlla i documenti e scopre che si tratta del Presidente del Consiglio.
Alberto Bognanni in Ho ammazzato Berlusconi (2008)
Tra i primi a metterlo in scena come personaggio fu Nanni Moretti, che lo usa come fulcro del proprio diario politico Aprile (1998), che si apre proprio con la prima vittoria di Berlusconi alle politiche del 1994, e poi con quella che forse, insieme all’indagine cinematografica che farà anni dopo Paolo Sorrentino, è la rappresentazione cinematografica più originale e conosciuta del Cavaliere: Il caimano (2006). Nel film nel film, il produttore Bruno Bonomo cerca di finanziare una pellicola di una giovane regista che vuole raccontare le zone grigie della vita di Berlusconi, che Moretti mette in scena uno e trino con i volti di Elio De Capitani, di Michele Placido e con il suo. Una rappresentazione caleidoscopica e complessa che dipinge le sue diverse anime: l’imprenditore e il politico, il populista e l’evasore, l’affabulatore e l’eversivo.
La storia di finzione della produzione de Il caimano, in cui Bonomo si fa terra bruciata attorno a causa del tema scottante al centro della storia e vive sulla propria pelle la forma di censura che si è per anni applicata a chiunque volesse in qualche modo criticare il leader del centrodestra, è anche il destino di molte opere audiovisive – documentari, lungometraggi – che riflettono sulla figura di Berlusconi. Documentari mai messi in onda, film distribuiti male, opere censurate o nascoste al pubblico dopo la loro uscita. È il destino persino di Loro 1 e Loro 2, il dittico di Sorrentino che messo in scena l’ultima fase della vita pubblica e privata di Berlusconi: il Popolo delle Libertà, il terremoto de L’Aquila, la separazione da Veronica Lario, i festini e il suo lento decadimento (o piuttosto decadenza) umano e politico.
La vicenda di Loro (2018), opera di un regista premio Oscar noto in tutto il mondo, che sparisce dall’Italia dopo la sua distribuzione in sala, dà la misura della potenza e dell’influenza di Silvio Berlusconi anche nella sua fase calante. Si possono comprare in home video e vedere in streaming su diverse piattaforme tutti i film di Paolo Sorrentino, da L’uomo in più a È stata la mano di Dio, ma Loro, a cinque anni dall’uscita,è ancora introvabile in Italia. Eppure il film non è assolutamente paragonabile all’attacco frontale che fu Il divo (2008) per Giulio Andreotti, dato che Sorrentino fa di Berlusconi (interpretato da un gigionesco Toni Servillo) un ritratto da commedia dell’arte, raccontandone i vizi in maniera manifesta ma piuttosto indulgente, risparmiandosi la critica diretta, forse perché consapevole di dove poteva arrivare la longa manus del Cavaliere.
Elio De Capitani è una delle tre incarnazioni di Silvio Berlusconi ne Il caimano (2006) di Nanni Moretti
Se il cinema ha raccontato e rappresentato Berlusconi con approcci diversi, restituendo la multiformità della sua persona, è l’universo documentaristico ad aver affrontato la complessità del suo operato, contribuendo ad analizzare il suo controverso percorso. Viva Zapatero! (2005) di Sabina Guzzanti entrava nelle maglie del cosiddetto “editto bulgaro”, con cui Berlusconi contribuì all’epurazione dalla Rai di Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi, rei di aver criticato il suo governo, affrontando l’argomento della censura dell’informazione nella televisione italiana in rapporto alla politica, mentre nel successivo Draquila – L’Italia che trema (2010) sempre Guzzanti indagava le responsabilità dell’allora presidente del Popolo delle Libertà (e Presidente del Consiglio) nella gestione del terremoto de L’Aquila, che nell’aprile del 2009 causò la morte di 309 persone, e nelle falle della Protezione Civile guidata da Guido Bertolaso.
In Citizen Berlusconi (2003) Andrea Cairola e Susan Gray approfondivano invece il personaggio Berlusconi e il suo rapporto di forza con le banche, la stampa, la politica, l’immaginario nazionale che lo hanno reso l’uomo più potente del paese, radicandosi in Sicilia con figure ambigue e peculiari, come racconta Franco Maresco nell’originalissimo Belluscone – Una storia siciliana (2014). Il titolo è un riferimento diretto al magnate della stampa Charles Foster Kane, protagonista di Quarto potere di Orson Welles – Citizen Kane in originale –, un parallelo che il politologo e sociologo Giovanni Sartori, tra gli intervistati, persino sminuisce: «Citizen Kane è come un topo paragonato ad un elefante. Mi spiego, Kane era un uomo molto ricco che possedeva un importante giornale, Berlusconi possiede metà della televisione italiana e controlla l’altra metà, la televisione pubblica».
La locandina di Videocracy – Basta apparire (2009) di Erik Gandini
Una vera e propria videocrazia insomma, costruita a partire dagli anni Ottanta e consolidata negli anni Novanta quando la svolta politica del 1994 e i successivi quattro governi che lo vedono alla presidenza del Consiglio danno a Berlusconi la possibilità di controllare, oltre all’impero Mediaset, anche la programmazione Rai. L’enorme influenza sociale della televisione di massa verrà indagata, sei anni dopo, da Videocracy – Basta apparire (2009) di Erik Gandini – poi autore de La teoria svedese dell’amore (2015) – che entra nel rapporto tra Berlusconi e la sessualizzazione televisiva di massa avviata dalle sue reti private e portata negli anni alla ribalta nazionale, plasmando un nuovo immaginario in cui il proprio personaggio politico avrebbe potuto affermarsi, e prosperare.
Negli anni la figura di Berlusconi si è tramutata in quella di baluardo centrista, mentre internet procedeva a una rivalutazione grottesca e involontaria del personaggio Berlusconi, attraverso una riproduzione memetica sempre più diffusa
La prosperità dei costumi del personaggio Berlusconi, piantati dal suo immaginario e dalla sua retorica e germogliati in milioni di italiani, ha superato persino i fallimenti (contrari alla narrazione dell’uomo di successo che si è fatto da solo) e le cadute morali (contrari all’immagine del cattolico perbene che nonostante tutto voleva evocare). Negli anni la sua figura si è tramutata, da quella di antidemocratico interdetto ai pubblici uffici per la condanna per frode fiscale, in quella di baluardo centrista con l’ascesa della Lega Nord di Salvini e di Fratelli d’Italia, mentre il mondo di internet procedeva lentamente a una rivalutazione grottesca e involontaria del personaggio Berlusconi, ormai anziano, ormai innocuo, attraverso una riproduzione memetica sempre più diffusa che ne ha piano piano, nel tempo, eroso gli aspetti più controversi all’occhio dell’opinione pubblica.
Nanni Moretti è Silvio Berlusconi nel finale de Il caimano (2006)
A distanza di 29 anni dalla sua prima affermazione politica, Silvio Berlusconi lascia il paese che amava dopo averne rivoluzionato l’immaginario, una contaminazione la sua che resterà nel DNA italiano ancora a lungo. Nel farlo, Berlusconi ha attratto a sé una parte importante della politica e della società italiana con il fine di accentrare tutto intorno alla sua persona alimentando il proprio potere e la propria posizione, la propria influenza e, appunto, la propria immagine. Come dice per bocca dello suo più acerrimo avversario cinematografico: Nanni Moretti.
«I miei alleati, non erano nessuno. Erano fascisti. Li ho portati al governo, li ho fatti diventare ministri. Erano democristiani che si flagellavano, si battevano il petto in mezzo a una strada. Li ho rassicurati. Quelli della Lega Nord poi, tutta Europa mi diceva “Stai attento, sono razzisti! Stai attento!”. Li ho fatti ragionare, ho portato al governo anche loro, nonostante mi insultassero e mi dicessero che ero un mafioso. Tutti al governo ho portato, tutti».
Con questo monologo finale, il Berlusconi di finzione interpretato dallo stesso Moretti si reca in aula per ascoltare i giudici, che lo condannano a sette anni di reclusione. Uscito dall’aula, usa la sua influenza per dichiararsi vittima di un attacco ad personam e invita i suoi elettori a ribellarsi a questa dittatura della magistratura. Si allontana in auto, mentre le prime molotov esplodono di fronte al palazzo di giustizia, in un’inquietante escalation che preannuncia altri attacchi allo Stato. Anche a più di vent’anni dall’uscita de Il caimano, è ancora questa la rappresentazione forse più inquietante e più azzeccata della figura di Silvio Berlusconi. Un populista eversivo, che l’Italia ha voluto onorare con il lutto nazionale.