Servant | Nella casa della bambola
Il terrore nasce delle mura domestiche nella serie tv horror di M. Night Shyamalan, tra drammi familiari, guizzi autoriali e rimandi al cinema di Hitchcock e Kubrick
«Solo attraverso il dolore puoi raggiungere la grandezza». Una culla vuota è l’origine della disperazione, il silenzio riempie la stanza, non ci sono risate argentine, non ci sono teneri pianti, ma una presenza tenta di riappacificare un animo affranto, distrutto, l’animo di Dorothy. Una bambola, così simile a un bambino vero da far mutare il fantastico in reale, è la bambola reborn, spesso usata come terapia per curare pazienti che soffrono di ansia o di depressione, a volte anche per coadiuvare terapie legate all’apatia.
In Servant, il viaggio di lavoro di Sean è l’occasione per la tragedia: la morte accidentale del piccolo Jericho, che precipita la famiglia Turner nello sconforto
La famiglia Turner assiste inerme al frantumarsi di Dorothy (Lauren Ambrose), giornalista affermata, lasciata sola dopo la nascita del figlio, sopraffatta da stress e stanchezza; la sindrome post-parto prende il sopravvento sul suo agire e soprattutto sulla sua mente. Il viaggio di lavoro del marito Sean (Toby Kebbell), chef di successo, è l’occasione per la tragedia: la morte accidentale del piccolo Jericho, che precipita la famiglia nello sconforto e Dorothy in un eterno stato catatonico. Per aiutare la donna, una psicologa consiglia ai famigliari di procurarle una realistica bambola reborn, da utilizzare come sostituto del bambino, per agevolare la riabilitazione psichica di Dorothy. Si cerca di aumentare il realismo della messinscena reclutando una tata e si presenta alla loro porta, dopo poco, Leanne Grayson (Nell Tiger Free), una ragazza apparsa dal nulla, che si prenderà cura amorevolmente della “bambola”.
Nel poster di Servant da sinistra Nell Tiger Free è Leanne, Rupert Grint è Julian, Lauren Ambrose è Dorothy e Toby Kebbell è Sean
Servant, la serie trasmessa sulla piattaforma streaming Apple TV+, è stata creata da Tony Basgallop e prodotta da M. Night Shyamalan (☛ L’umanesimo disperato di M. Night Shyamalan), che ha anche diretto diversi episodi delle quattro stagioni in cui si sviluppa l’opera, insieme, tra gli altri, alla figlia Ishana, coinvolta direttamente anche nella stesura della sceneggiatura. Shyamalan ha portato sul piccolo schermo un mefistofelico gioiello, elegante e sontuoso, non privo di qualche falla, ma che si distingue nell’universo sconfinato della serialità contemporanea. I tempi volutamente dilatati costituiscono l’impalcatura di una narrazione oscillante tra il thriller psicologico e l’horror, avviluppando lo spettatore tra le spire di un’evoluzione filmica che lentamente disvela tutti i personaggi della vicenda. La storia ha una struttura narrativa semplice, intenzionalmente elementare per scelta dello stesso M. Night Shyamalan, che, non a caso, se ne occupa direttamente, ma tale apparente banalità offre allo spettatore l’opportunità di tuffarsi in un mind game, giocando con le molteplici chiavi di lettura che si intrecciano nella vicenda, riproponendo un approccio metodologico assai caro al regista e al suo pubblico.
Shyamalan ha portato sul piccolo schermo un mefistofelico gioiello, elegante e sontuoso, non privo di qualche falla, ma che si distingue nell’universo sconfinato della serialità contemporanea
Le prime stagioni sono caratterizzate da un ritmo flemmatico e il focus si concentra su Dorothy e il suo rapporto con Leanne, altalenante tra amore e odio, fiducia e diffidenza, comprensione e intolleranza, creando enormi contrasti tra le due donne. La figura della giovane bambinaia è spiazzante, sia per i protagonisti, Sean, Dorothy e suo fratello Julian, sia per lo spettatore stesso, grazie a un ritratto volutamente sfumato, pieno di ombre e contrasti, che non ne delinea mai compiutamente la natura rendendo estremamente difficile riuscire a capire la complessità della ragazza e “cosa” realmente essa sia. A turno, tutti sono affascinati da Leanne; Julian, tra alti e bassi, se ne innamora, attratto come da una calamita e, per il suo carattere tendenzialmente autolesionista, anche come da una calamità che lo sconvolge. Anche Sean, il marito di Dorothy, non è affatto indifferente al fascino oscuro della giovane, al punto da coinvolgerla direttamente nelle sue produzioni culinarie, come aiutante, ma anche accettandone i consigli.
Ma chi è Leanne? Cos’è Leanne? La psiche della ragazza è un labirinto che si avviluppa su sé stesso, al suo interno ci si muove con lentezza, ignari della provenienza e della meta; è un percorso psicotico e contorto in cui è facile perdersi, come per le scale di Bombed Regency fotografate da Bill Brandt o negli enigmi visivi di Escher; cupe ombre disorientanti affollano le pareti, illusioni mentali alienanti che giocano con il paradosso mistificatore e caotico. La tensione è una vena palpitante nell’evolversi dell’intera serie, con guizzi horror non banali e trovate narrative sempre avvolte da un alone di mistero, che fino alla fine non si svela mai del tutto. L’abitazione della famiglia Turner, il luogo che ospita gran parte della serie, riflette, come la casa degli Usher, i tormenti dei suoi abitanti. Si aprono falle, affiora il putridume, dalle fondamenta emergono fetidi vapori, alimentati da ipocrisie, falsità e bugie, sentimenti sedimentati e smossi dallo sconvolgente arrivo di Leanne e del suo passato. Gli interni si fanno sempre più soffocanti e claustrofobici, metafora dello slittamento mentale e del deragliamento della psiche.. L’oscurità si incupisce con l’entrata in gioco della setta della Chiesa dei Santi Minori, di cui faceva parte la ragazza e che continua a perseguitarla, richiamandola a sé. Le incursioni della setta si fanno sempre più presenti nella vita dei Turner rendendo ancora più enigmatica e inquietante la presenza di Leanne.
L’abitazione della famiglia Turner, il luogo che ospita gran parte della serie, riflette, come la casa degli Usher, i tormenti dei suoi abitanti
Nella quarta stagione, il capitolo conclusivo della serie prodotta da M. Night Shyamalan, non sono pochi i misteri da risolvere e le domande a cui rispondere sulla famiglia Turner, sulla perdita del piccolo Jericho e sull’arrivo di Leanne, ancora e sempre in bilico tra il bene e il male. Ora si assiste ad un’evoluzione di tutti i personaggi e se nello svolgersi delle precedenti stagioni ognuno di loro non assumeva mai una posizione ferma, ora i giochi devono necessariamente delinearsi, Sean e Julian devono decidere se schierarsi dalla parte di Dorothy o con la giovane ragazza. Le atmosfere si fanno più cupe e pregne di mefistofelici effluvi sulfurei, la fotografia si tinge di sfumature grigie, sul ciglio di un onirico in perenne conflitto con la realtà. L’horror, in questo epilogo, è più tangibile e materico, diverse sono le citazioni, i rimandi a pilastri della cinematografia di genere, da Hitchcock, con il suo Gli uccelli, fino a Shining di Stanley Kubrick. Le crepe sui muri, che si aprono improvvisamente, l’invasione delle cimici, l’addensarsi di nuvole grigie sulla casa dei Turner e gli uccelli che infestano la via in cui la famiglia dimora, scena dal forte impronta hitchcockiana sono gli eventi che aprono le porte, in questa quarta stagione, ad un horror non più accennato ma sempre più presente, sin dai primi episodi. Tutto è funzionale alla metamorfosi di Leanne, alla sua evoluzione da vittima in carnefice. Se la terza stagione era caratterizzata dalla lotta tra la ragazza e Dorothy, ora la battaglia si sposta su altri fronti, ora Leanne dichiara guerra al mondo.
Nell Tiger Free è Leanne in Servant
Nella sua quarta stagione Servant mette in scena un’agonia che si riverbera sul corpo: il tragitto dagli occhi allo stomaco, passando per il cuore e le viscere, è un viaggio tra le onde di un mare cupo in tempesta; ci si sente come il battello ebbro di Rimbaud, osservando un mondo oscuro, misterioso, e si scivola tra le vampe che mondano, purificano e donano nuova vita, o forse morte. Tutto trova la sua strada in questa ultima stagione di Servant, con un finale perturbante che lascia comunque aperta una porta per eventuali, ulteriori appendici di questa serie, elegante e sempre più inquietante. Un’opera che manifesta apertamente l’impronta di Shyamalan, per la messa in scena, per il congegno narrativo e per il costrutto filmico delineato da una cadenza distesa, in uno svelamento mai troppo affrettato che lascia il piacere intimo di assaporare ogni singolo elemento. Con tocco autoriale, Shyamalan tesse con Servant una tela apparentemente lineare, ma che vista da vicino rivela un tessuto intricato e complesso: un’opera che dopo la sua visione fa lentamente breccia nella mente dello spettatore, vi si lega, scavando nel profondo e rimanendo ben ancorata, dipanandosi su più livelli in un gioco di (ri)pensamenti, tra i flashback che si alternano, le parole dette e le visioni stratificate, il passato e il presente che viaggiano a braccetto in una danza convulsa.